Adolescenti in rete, consapevolezza e oblio

Pubblicato il Autore Marco Lazzari

Scrivo due righe su una questione che io tendo a dare per scontata, ma tale non è.
Qualche giorno fa parlavo a un gruppo di professori, educatori e genitori a proposito dell’uso che gli adolescenti fanno della Rete e dei suoi strumenti.
Quando affronto questo genere di discorsi, la mia idea forte è quella della consapevolezza degli strumenti. Che poi declino nella inconsapevolezza degli adolescenti rispetto all’uso della Rete, sia per quanto riguarda le sue potenzialità, sia per ciò che concerne i rischi.

Prostitute tj
By Tomas Castelazo (Own work) CC-BY-SA-3.0 (www.creativecommons.org/ licenses/by-sa/3.0) or GFDL (www.gnu.org/copyleft/fdl.html), via Wikimedia Commons

Sotto il capitolo rischi mi premono particolarmente le questioni legate alla reputazione, la Web reputation, e  un mio cavallo di battaglia in questo senso è citare la pubblicazione di testi e immagini riguardanti i propri eccessi: sabato da sballo, ciucca memorabile, foto di gruppo con bottiglia, puttan tour con documentazione video. Per farsi due risate con gli amici.
Siccome ho promesso solo due righe, la sintesi del mio discorso è: scrivilo oggi, riscrivilo domani, fotografati dopodomani, arriva il giorno che ti presenti al colloquio di assunzione alla multinazionale dei tuoi sogni o per immatricolarti nell’università americana di prestigio e quelli ti mandano a casa con disonore perché per i loro standard sei troppo ciucchettone o troppo maiala (e qui non indulgo a facili battute sulle attuali opportunità in politica).
Dunque giorni fa, arrivato al punto delle foto delle ciucche, dalla platea mi arriva la domanda: ma comunque se pubblico una foto osé in Internet, io ne ho il controllo, quindi quando viene il momento di giacca e cravatta posso sempre togliere la foto. O no?!
Fossi a lezione, farei il solito censimento:
“Favorevoli al no su la mano; al sì? Astenuti?”
La risposta giusta è no.
O meglio: le domande in realtà erano due.
La seconda era: posso toglierla? E la risposta è sì (con qualche eccezione, che vedremo).
Ma la prima domanda, quella principale, era: ho il controllo? E la risposta, ahinoi, è no. O per lo meno non l’ho nella misura assoluta alla quale faceva riferimento il discorso della mia interlocutrice dell’altra sera.
Qual è il problema?
Il problema è che magari io posso eliminare le mie foto esagerate, ma chi mi dice che qualcuno non se le sia scaricate e conservate e non le tiri fuori al momento giusto?
C’è sempre qualche macchina del fango parcheggiata in un angolo ad aspettare…
Far sparire fotografie compromettenti è difficile e i tentativi spesso sortiscono l’effetto opposto, ossia quello di richiamare attenzione: è il cosiddetto effetto Streisand, dal nome della cantante Barbra Streisand, che nel tentativo di impedire per vie legali la diffusione di fotografie che a sua detta minavano la sua privacy, ottenne l’effetto di richiamare su quelle stesse foto un’attenzione che non avrebbero altrimenti mai ricevuta. Come per il principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo il quale in certe circostanze non si possono misurare i dettagli di un sistema senza perturbarlo, così nel mondo della comunicazione di massa il tentativo di minimizzare gli effetti di un’informazione può invece amplificarli.

Indimenticabile Jack
L’indimenticabile Jack

Dell’effetto Streisand è stato vittima per esempio Jack Repplew (ho anagrammato il nome per non associarmi a quelli che diffondono le sue foto, per quanto non mi sia simpatico), un minorenne americano con aspirazioni e foto da divo che molla la morosa per poi scoprire che la fanciulla smanettona per vendetta ha riempito la rete di sue fotografie arricchite da commenti ironici; la mamma protesta con Google, la piccola ritorsione della pulzella abbandonata diventa un caso mondiale, le foto originali vengono rimosse, ma copie fioriscono ovunque, grazie alla memoria della cache di Google; e poi proliferano le imitazioni (quella che incollo qua sarà originale o tarocca?).
Leggere per credere.

Per non parlare del caso di una notissima nuotatrice francese e delle sue foto hard o del pornovideo amatoriale (in ogni senso) che anni fa ha visto come protagonista (e vittima) una ragazzina italiana che non nomino per non lasciare in giro ulteriori tracce su di lei.
E poi.
Tanti anni fa, credo nel 1996, mi procuro uno spazio web gratuito in uno dei primi siti che rendono disponibile un servizio del genere, Geocities. Ci faccio una pagnetta di link a siti web sul Cammino di Santiago, che tengo aggiornata fino al 2009, inizialmente con assiduità, poi un po’ meno, perché la sua utilità nell’era di Google è andata scemando.
Nel 2009 succede che Yahoo!, che da qualche anno ha comperato Geocities, decide di chiudere il servizio gratuito: se vuoi continuare a tenere le pagine da loro paghi, altrimenti te le cancellano. Tutti gli utenti ricevono con largo anticipo un avviso e un bel giorno il sito chiude. Come tanti altri, mi salvo per tempo la mia paginetta per ricordarmi dei tempi andati e amen.
E invece dopo un po’ scopro che non una, ma almeno due “organizzazioni” di antiquari della Rete hanno deciso di tramandare ai posteri tutto il vecchio Geocities. Così, se uno visita la pagina
http://www.oocities.org/athens/acropolis/5398/index.html
oppure la
http://reocities.com/athens/acropolis/5398/index.html
ci ritrova i miei vecchi link.
E allora?
E allora io dico che in questi casi uno avrebbe il diritto di reclamare l’oblio per quello che ha fatto; e invece gli viene negato: mentre nel vero Geocities io ero riconosciuto come utente e quindi ero padrone di cancellare quanto avevo scritto, nei suoi reperti archeologici non c’è modo di identificarmi operativamente come autore, dunque non posso intervenire. Dovessi in futuro scoprire un errore di html tale da vergognarmi di fronte ai miei studenti, niente da fare. Dovessi diventare musulmano e come tale poco incline a considerare Santiago Matamoros come un amico, niente da fare.
Tra parentesi, esiste un’istituzione di volontari che archiviano a beneficio dei nostri pronipoti i siti web di oggi per rivederli domani: hanno creato la Wayback Machine e anche lì si può trovare, manco a dirlo, una copia dei miei puntatori al Camino.

 

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