La lingua che cambia in un mondo che cambia

Pubblicato il Autore Marco Lazzari

Un amico mi racconta che a lezione di Excel una studentessa lo chiama e gli dice come mai la cella le si è riempita di hashtag.

Di hashtag?

Di hashtag.

Non di cancelletti, di gratelle, come dicevamo a Pisa, di diesis, come diceva quel mio amico che studiava a Brescia.

No, di hashtag.

#############################

Foto di Nike di Samotracia, Museo del Louvre, immagine di pubblco dominioSono di una generazione che giocava in cortile, le scarpe da ginnastica erano di due tipi, quelle blu e quelle bianche, non stava bene metterle a scuola, però in gita sì e ci si andava una volta all’anno con il curato dell’oratorio, a Bacedasco Terme (ma si diceva solo Bacedasco, perché allora le terme erano da vecchi e sfigati). Un bel giorno abbiamo scoperto che c’erano scarpe da ginnastica che si chiamavano Nike (pronuncia niche) come la Nike di Samotracia.

Verso la fine del millennio ho cominciato a insegnare, era un po’ che non vedevo ragazzi, ho scoperto che erano cresciuti con il Gameboy, venivano a lezione con le sneackers, facevano l’ultimo dell’anno in un albergo con spa, al liceo erano stati in gita a Praga, Barcellona e Parigi, dove avevano visto una statua che si chiamava come le loro scarpe, la Nike di Samotracia (pronuncia naichi di Samotracia).

D’altra parte, ho scritto nike in Google immagini e ho trovato la Nike che dico io all’incirca in cinquecentesima posizione. Immagino che i miei studenti di oggi mi percepiscano più o meno come suo coetaneo. Solo un piccolo errore di parallasse.